lunedì 25 maggio 2009

VERONA:

il Gad Città di Pistoia ed il regista Franco Checchi si aggiudicano il prestigioso premio “Giorgio Totola”

 

Caro Franco,

                         nel complimentarmi con te per l’ottimo risultato conseguito a Verona, da te personalmente e dalla tua compagnia, non ricorrerò alle frasi un po’ retoriche che nella circostanza verrebbero naturali: la nostra città..., il prestigio.., insomma tutte quelle cose che pure ci sono, servono, ma delle quali poi, non frega niente a nessuno, a noi per primi, credo. Sono convinto infatti che ci interessi principalmente “il teatro” e tutto quello che ad esso può servire, come il premio “Totola”, che non ti nego avrebbe fatto assai piacere anche a me, specie per il “morale” di tutta la “brigata”, ma anche, per quel poco di orgoglio personale che dà più gusto alla vita. Ma ho assai piacere che fra tanti sia toccato a te, dato che te lo meriti, ovvero, ve lo meritate.

Anzi, tutto considerato, mi immagino che il premio a voi avvantaggerà entrambi su gli altri: voi, perché cercherete di conservare il primato conseguito, noi, perché avendovi così vicini e sotto controllo visivo pressoché immediato, sentiremo più forte lo stimolo alla sana competizione. Mi verrebbe voglia di rammentare al riguardo certe tenzoni culturali di altri tempi, primo fra tutti il Rinascimento, ma preferisco un volo assai più radente, dato che se poi uno cade rischia meno di farsi male.

Un saluto affettuoso,

Ufficio Stampa Electra – Giuseppe Tesi

domenica 24 maggio 2009

odierne aspirazioni


Ricevo da un amico, e pubblico subito assai volentieri prendendolo come auspicio (anzi, direi addirittura adottandolo), il simpatico, storico logo delle Edizioni Dall'Oglio. Sarà una sorta di talismano, insomma, un vero programma!

sabato 2 maggio 2009

La recensione...













Questa “American beauty” italiana ha i toni cromatici seppiati o grigiastri che le si confanno, l’atmosfera vintage e malata connaturata a un’opera che vuole intrecciare la legittima ricerca della felicità alla impossibilità di trovarla. La madre (Lidia) – vera figura centrale dell’opera di Enzo Giacobbe – ha nell’allestimento di Giuseppe Tesi l’enfasi e il sussiego di Daniela Evangelisti che, nella sua odiosa ieraticità, dà forma tangibile a qualche ingessatura della scrittura. Il regime schizoide imposto da questa madre trionfa sulla joie de vivre di due figli che vorrebbero esserle antitetici, ma che, invece, drammaticamente incarnano in maniera più o meno lecita e/o perversa tutto l’abominio materno. Il figlio Paolo – un minimale e apprezzabile Carlo Bugiani – resta incollato al grembo materno anche se porta avanti l’amministrazione di un esiguo pezzo di terra, unico relitto della presenza paterna. La figlia Barbara – una ispirata e credibile Cinzia Cedrola – nel tentativo di prendere le distanze dal modello materno, non fa altro che coltivarne la nefasta natura, scegliendo, ancora adolescente, un uomo facoltoso che possa mantenerla: in tal modo questo micro-universo si connota di un pensiero unico, quello espresso dalla madre-fagocitatrice in cui non vi è spazio per il principio maschile. L’archetipo dell’anima junghiana assume i connotati di un eros debordante che non concede spazio alcuno al logos maschile. L’assenza evidente, in questo angusto spazio familiare, di una figura realmente maschile o virile sembra essere giustificata dall’invadenza di quella femminile: anzi, ad osservare le dinamiche conflittuali e quasi pornografiche sviluppate da Lidia, comprendiamo e peroriamo questa assenza. La ribellione della figlia Lidia appare velleitaria e cristallizzatrice – tutto sommato – del modello materno; la ribellione-provocazione di Paolo che dà titolo all’opera è più simbolica che reale. Anche se a scomparire fisicamente sarà la madre, i veri annientati sono evidentemente i figli che, ormai grandi, non riescono a oltrepassare quel modello etico ed affettivo così devastante. Le perversioni, qui solo accennate o evocate, potrebbero offrire un radicamento al “reale” se coraggiosamente rappresentate e non alluse da un linguaggio alieno quale quello della madre (parla di “fisicità”, riferendosi al rapporto strettissimo tra lei e Paolo). La regia, compiendo qualche coraggioso scavalcamento del testo – cosa peraltro già effettuata in questa fase – potrebbe sottrarre questo interessante testo a quella vena surreale e farlo abitare definitivamente fra le scorie dell’entropia familiare borghese, che ancora oggi resta uno dei temi più analizzati e irrisi dall’arte.
Claudia Placanica


ma anche in: http://www.qualeteatro.com/regalo-di-compleanno/sa75778c6346745778435c7da6bfd00b6/









Nella foto, in prossimità dell'Arena, il regista Giuseppe Tesi e gli attori della Compagnia
teatroelectra,
reduci dalla rappresentazione di

Raptus
spettacolo che ha partecipato alla Rassegna Teatrale di Autore Italiano Contemporaneo
PREMIO GIORGIO TOTOLA
Teatro Camploy Verona