lunedì 12 aprile 2010

RECENSIONE

















nella foto l'attrice Gloria Biondi magnificamente ritratta da Xeniya

O.W.COME OSCAR WILDE

Agliana, 10 aprile 2010


“Anch’io avevo le mie illusioni. Pensavo che la vita sarebbe stata una commedia brillante […] Scoprii che era una tragedia repellente ed ignobile e che la sinistra occasione del grande colpo di scena eri tu, spogliato da quella maschera di gioia e di piacere da cui non meno di me eri stato ingannato e fuorviato.” Le parole di Wilde echeggiavano nel loro sinistro realismo al teatro Moderno di Agliana e il fatto che, a profferirle fosse una donna non più giovane, dal viso suggestivamente affilato e a tratti androgino, ha reso il testo ancora più maudit. L’interpretazione di Gloria Biondi, utilizzata per i monologhi della piece O.W. come Oscar Wilde, ha funto da catalizzatrice dell’autentico spirito wildiano. Gloria dimostra come il talento possa irrompere – per la fortuna di tutti – in ogni fase della vita. I timbri, i colori e le espressioni della sua voce uniti ai movimenti, alle posture, ai gesti, hanno portato il testo al di là della mera rappresentazione. Anche gli altri attori sono parsi sulla lunghezza d’onda giusta e a proprio agio nei non facili ruoli di dare spessore e credibilità a fatti e parole portatori di valori opposti e contradditori. La regia ha investito molto sulla qualità erotica dei rapporti dei personaggi-attori e il climax è giunto nella parte conclusiva, in quell’opera controversa che è la Salomè. Le luci e la musica hanno trasfuso all’opera quel sapore di universalità senza tempo, vero elemento fondante dei classici; l’essenzialità della scena suggeriva dinamiche, rinunciando ad imporre letture didascaliche della poetica di Wilde. La musica è apparsa congeniale nella miscela colta e gustosa di brani provenienti dagli ambiti più distanti fra loro. Si tratta di scelte non scontate e, quindi, rischiose. Ma, come talvolta accade, la volontà di rischiare ha reso O.W. l’epicentro di un terremoto estetico-dialettico e, se il pubblico è andato via “schiaffeggiato” dall’ insolenza di Wilde, vorrà dire che il team di Electra ha centrato il bersaglio.

Claudia Placanica

giovedì 1 aprile 2010

Un mosaico in scena




O.W.


Sedetevi pure, ma non tentate di mettervi comodi perché, quel che vedrete, non sarà per niente accomodante.
Il testo-mosaico di Oscar Wilde non potrebbe essere meno confortante e più irriverente. I brani dal De profundis, dalla Salomé, dal Dorian Grey ed altro ancora sembrano scritti ieri e, giustamente, la contestualizzazione ha giocato sulla sfalsatura temporale e sull’ambiguità sessuale. Le affermazioni di Wilde al processo e gli arguti aforismi umiliano, non solo il giudice al suo cospetto, ma proprio l’intera comunità, accusata di moralismo e di assenza di sensibilità estetica: uno spettacolo che non risparmia sferzate a nessuno. Per infierire spudoratamente sullo spettatore, l’ultima regia di Giuseppe Tesi ha scomodato anche Beethoven, i Dead can dance, Voltaire, Tenco e i più disparati materiali musicali, tutti pronti a implodere nell’atto teatrale. La recitazione è asciutta e, a tratti, isterica, talvolta malinconica. L’eros sembra suggerire la trama dei rapporti fra i personaggi, chiusi in un vicolo cieco che li inchioda ad una realtà – essa sì – oscena. Essi sono condannati a una comunicazione – non comunicazione, priva di feedback in cui solo il mittente-Wilde è credibile in quanto portatore di un ego già di per sé teatrale e teatralizzante: la dimensione spazio-temporale risulta satura e problematizzata. Lo spettatore ha consumato la sua palingenesi con la chiusura di un rito che lo sottrae alla barbarie della bruttezza.

Claudia Placanica