domenica 4 novembre 2012

Roma - Maria Luisa Spaziani a "Dialogo...?"

 
Priscilla Baldini e Andrea Gonfiantini sono convincenti nel dare spessore drammatico ai loro personaggi creando un contrasto tra l’indolenza interiore e la violenza esteriore dei comportamenti: lui la picchia, ma lei sembra non percepire i maltrattamenti, e lui in fin dei conti alza le mani come se fossero gesti normali, quotidiani. Una vaga atmosfera sadomaso aleggia non solo nei comportamenti, ma anche nei colori, luci e nei costumi dello spettacolo. E quando Francesco si spoglia, mostra un corpo tatuato come se il martirio fisico e psicologico lasciasse su di lui dei segni indelebili. La regia di Giuseppe Tesi è, omen nomen, tesa, pulita, concentrata su movimenti mai troppo astratti, ma al tempo stesso mai eccessivamente realistici, con tempi giusti dettati dal testo incalzante, sempre sorprendente e spiazzante, mai ovvio anche se si tratta di un paradosso del "quotidiano … Enrico Bernard (30 settembre 2012). Così il critico teatrale Enrico Bernard commenta "Dialogo …?" dopo aver assistito alla rappresentazione presso il Teatro Millelire di Roma. Roma, Caput Mundi, è questo l’approdo, nonostante risorse esigue, partenza provinciale, realtà lontana dalla Capitale. Viene da credere che sia l’impegno,il talento di due giovani attori, la presenza costante, il sostegno illimitato di Elena Bernardini, non ultima la fascinazione del teatro, a dare realtà al progetto.

Fascinazione che ha raccolto nella settimana della rappresentazione un pubblico di addetti ai lavori, inimmaginabili per noi. Colgo l’occasione di ringraziare per l’affettuoso sostegno Maria Luisa Spaziani, Tiziana Grassi, Alessandro Chiti. La loro prestigiosa presenza in teatro, il loro plauso sono di buon auspicio per la nostra piccola compagnia che si sta misurando con il prossimo lavoro di Duccio Camerini, "L’Impero dei sensi di colpa", testo provocatorio ed intrigante. Un pensiero di riconoscenza e di gratitudine è rivolto alle Aziende del nostro territorio che hanno sostenuto sin dall’inizio il progetto Ginzburg, l’Audiomedical di Gilberto Ballerini, Marzio Coiffeur , l’Ottica Aligi Bruni, la Fondazione per la Cultura e lo Sport di Vignole, Tricomi, La Limonaia. Un ringraziamento all’Associazione Teatrale Pistoiese per la disponibilità e l’ ospitalità data alle prove, per aver fornito sostegno tecnico e professionale. Un teatro, quello di Electra, che trova spinta da realtà private e che magicamente si è evoluto in spazi più ampi e conosciuti. Il teatro che trova la sua massima espressione nella coralità e nell’abbraccio del pubblico non puo’ fondarsi solamente sull’apporto di singole sinergie, ma ha necessità di essere sostenuto, anche in modo concreto da coloro che intendono investire nell’Arte, unica valida risposta in tempi così oscuri.

Tutti coloro che credono che la cultura possa essere stimolo di rinnovamento e rinascita non disertino un abbonamento al teatro, non abbondino le nostre piccole
realtà associative alla sola buona volontà dei soci fondatori.

Un ricordo va a Natalia Ginzburg, autrice e prima regista la quale già con "Fragola e Panna", premiata sul Lario, poi con "Dialogo…?" , ha permesso ad Electra più ampio respiro.


 
Maria Luisa Spaziani, Andrea Gonfiantini, Priscilla Baldini

sabato 29 settembre 2012

Recensione di Enrico Bernard Roma

“Dialogo…?” il testo della Ginzburg – il cui titolo originale è però soltanto “Dialogo” senza interpunzioni- in scena al nuovo delizioso Teatro Millelire in zona Prati (vicino Piazzale degli Eroi) è l’esempio calzante del mio discorso. Un marito e una moglie, lui scrive romanzi impubblicabili e lei forse collaborerà ad un programma della Rai, vivono la tipica condizione del disagio intellettuale di una borghesia che si guarda l’ombelico. Hanno una bambina piccola che sistemano sempre da qualche parte per fare il loro… niente. La cameriera, della quale si intuisce la presenza da una voce fuori campo, è “solo una cretina” da non stare a sentire. Tutto è inutile in questa casa, la stessa esistenza dei personaggi lo è. Quindi, per fare qualcosa come nelle migliori tradizioni familiari, si “appiccicano” tra di loro, insomma litigano. Ma più che di un litigio, si tratta di uno sfogo reciproco di frustrazioni e indolenze, perché la loro vita non procede, non va avanti, il meccanismo è bloccato da qualcosa. Lui è uno scrittore, ma non ha sogni rivoluzionari o passioni politiche nel cassetto (nonostante il periodo, siamo alla fine degli anni ’60). Vuole solo vendere il suo manoscritto con la raccomandazione dell’amico Michele ad un editore allora famoso, Vallecchi, e vincere, sempre con l’aiuto di Michele che è in giuria, il Premio Salsomaggiore che vanta la dotazione allora considerevole di un milione. Poi ci saranno i diritti d’autore, le traduzioni, così potranno cambiare casa e ricominciare la stessa storia probabilmente da un’altra parte. Senonché lentamente esce fuori la verità: Michele, l’amico di lui e l’amante di lei, a sua volta scrittore (lui sì pubblicato, anche se una volta sola), non ha nessuna intenzione di sostenere l’amico Francesco e neppure di trasformare la scappatella con Marta, che già progettava un trasferimento nella casa di campagna dell’amante, in una relazione stabile lasciando la moglie. Fulmine a cielo mica tanto sereno, suona il campanello: arriva a Marta una fredda lettera di commiato da parte di Michele che, in partenza, ha pure l’ardire di chiedere a Francesco di tenergli il cane. Un cane, quello di Michele, che Francesco e Marta odiano: ma tant’è, l’amico può sempre servire. E poi, conclude Francesco, che colpa ne ha il cane? La classica tempesta in un bicchier d’acqua si conclude con la mosca annegata nel bicchiere: uno Zoo di vetro per dirla con Tennessee Williams.
Priscilla Baldini e Andrea Gonfiantini sono convincenti nel dare spessore drammatico ai loro personaggi creando un contrasto tra l’indolenza interiore e la violenza esteriore dei comportamenti: lui la picchia, ma lei sembra non percepire i maltrattamenti, e lui in fin dei conti alza le mani come se fossero gesti normali, quotidiani. Una vaga atmosfera sadomaso aleggia non solo nei comportamenti, ma anche nei colori, luci e nei costumi dello spettacolo. E quando Francesco si spoglia, mostra un corpo tatuato come se il martirio fisico e psicologico lasciasse su di lui dei segni indelebili.
La regia di Giuseppe Tesi è, omen nomen, tesa, pulita, concentrata su movimenti mai troppo astratti, ma al tempo stesso mai eccessivamente realistici, con tempi giusti dettati dal testo incalzante, sempre sorprendente e spiazzante, mai ovvio anche se si tratta di un paradosso del “quotidiano”. Invece gli “a parte” al microfono di matrice letteraria, narrativa, mi convincono meno, sono piuttosto citazioni o inserti con cui si vuole dimostrare il rapporto dialettico tra letteratura e teatro nell’opera della Ginzburg, come del resto ho fatto nella prima parte di questo articolo. La commedia, anzi il dramma è un gioiello teatrale dai tempi perfetti da giocarsi, come in gran parte ha fatto molto bene Tesi, intorno al lettone matrimoniale: non necessita di una parola in più né di una in meno. E tantomeno di sovrastrutture.


Enrico Bernard

giovedì 27 settembre 2012

DI DEBORA BELMONTE - ROMA

Sul palco una camera da letto, punto focale dello spettacolo in scena fino al 30 settembre.
Un uomo e una donna, Francesco e Marta, interpretati da Andrea Gonfiantini e Priscilla Baldini che hanno rappresentato in maniera egregia un testo non facile da portare in scena.
Lui è un aspirante scrittore che ha da poco perso il lavoro, lei è una donna forte, ma a tratti vuota e alla ricerca disperata di affetto, nel mezzo Titina la colf di cui si sente solo la voce. Una coppia ancora in piedi ma che sta perdendo l’equilibrio; una coppia tenuta insieme dalla pietà che l’uno prova nei confronti dell’altra.
Per tutta la durata dello spettacolo una domanda tormenta Francesco: «Cosa dovevi dirmi?», un quesito dalla risposta amara che porterà a stravolgere tutto ciò in cui credeva ancora.
L’interpretazione degli attori è buona ma a volte troppo urlata, la regia di Tesi, impeccabile in alcuni momenti, mostra però qualche sbavatura, avremmo preferito meno elementi in scena per uno spettacolo che dovrebbe giocare solo sulla parola. La quantità di oggetti messi sul palco, elementi che non sempre vengono sfruttati, rischia di distrarre un pubblico che ha comunque seguito con attenzione tutti i settanta minuti della rappresentazione
Uno spettacolo che oscilla tra amore e odio portato in scena in modo egregio dai due attori che, come spiega Tesi nella sue note di regia, «sono chiamati ad un lavoro sul linguaggio, sui significati nascosti nelle frasi e nelle espressioni senza senso, sulla finta distrazione dall’attenzione per l’altro», lo sforzo di comunicare .
“Dialogo…?” in scena dal 25 al 30 ottobre al Teatro Millelire di Roma alle ore 21 e la domenica alle 18. Testo scritto da Natalia Gizburg per la regia di Giuseppe Tesi e con sul palco Priscilla Baldini e Andrea Gonfiantini.

domenica 9 settembre 2012

martedì 17 luglio 2012

Saletta Gramsci, spazio delle Arti

Ho apprezzato l'intervista rilasciata da Sacchettini sul Tirreno ieri (16 luglio 2012), per vari motivi. Fa riferimento al Teatro che ha la sua origine nella piazza greca della Polis, luogo privilegiato della Cultura. E’ scritto in italiano corretto. Lascia intendere la volontà di un recupero della Saletta Gramsci. Potrebbe essere quest’ultimo il fulcro di un'operazione interessante. Uno spazio aperto a sinergie diverse del territorio. Si annida un sospetto però. Che una volta recuperato lo spazio questo divenga ulteriore feudo elitario per intimi, per coloro che vantano un pedigree di “bandiera”. Come se la cultura si vivificasse unicamente nell'egualitarismo, nella condivisione, nella ripartizione, come se bastasse questo. Sono convinto del contrario. La Cultura forma, cambia, eleva, unisce. Permette di possedere un individualismo ed un senso critico soggettivo. Concede all’uomo uno dei diritti irrinunciabili ed inalienabili, sanciti dalla nostra “Carta”, ma prima ancora rintracciabili proprio nella Polis a cui Sacchettini fa riferimento, il diritto alla libertà e alla convivenza democratica di pensieri e convinzioni anche opposte. Pertanto ben venga un restauro della Saletta, convinto che il luogo, intriso di misticismo e di storia, possa divenire lo spazio privilegiato di tutte le “Arti”, bottega, laboratorio, scenario, dove l’appartenenza ad un’area specifica, lasci il posto alla qualità, al merito, che come ben sappiamo, non hanno colore.




Giuseppe Tesi









martedì 19 giugno 2012

Casa Circondariale di Pistoia, Via dei Macelli, 13 - 19 giugno 2012 ore 10:00



Gianfranco Pedulla' ritratto da Matteo Bertelli


Casa Circondariale di Pistoia, Via dei Macelli, 13 - 19 giugno 2012 ore 10:00, “L’ARTE: RICERCA E RISPOSTA”. 
Evoca un film espressionistico delle avanguardie tedesche, Il gabinetto del Dottor Caligari (1919) di Robert Wiene , la piecé sapientemente diretta da Gianfranco Pedulla’, interpreti i detenuti  del carcere di Pistoia. A tale riguardo il poeta Gottfried Benn (Prussia 1886 – Berlino 1956) avrebbe affermato che l’artista espressionista portava impresso “il cuore disegnato sulla camicia”, splendido assioma che mette a nudo colui che si lacera il petto esponendo al mondo il proprio,autentico sentire. E’ questa l’immagine che esplode in una  tragicità totale. Il progetto rieducativo  sostenuto dalla Regione Toscana,  palesa in questo contesto una sacralità disarmante ed inquietante. Il detenuto attore è chiamato a mostrarsi, su un palcoscenico spoglio fra  mura soffocanti e distorte, in una scenografia “surreale”. Lo spettacolo è ambientato nella palestra  del penitenziario, perfettamente attrezzata allo scopo. E come in quel film ci troviamo al cospetto di un puntuale imbonitore, prestato ad un teatro senza fissa dimora, il quale presenta, a differenza di Caligari, non un sonnambulo che dorme in una bara, ma un folto gruppo di troppo giovani artisti. Inizia dalla fine,dai ringraziamenti che un’ improvvisata “Compagnia di Guglielmo Canino”, deve al pubblico. La ballerina, il mago, l’uomo panzuto, in un primo momento assenti al plauso del pubblico, è questa la prima suggestione, non tardano, poi ad arrivare, raccontandoci la loro verità.  “Quando sarà saldato il debito pubblico?”, “Di questi tempi dove andremo a finire ?”, “Di questi tempi … la felicità?”. Domande forti echeggiano nella sala frutto di un canovaccio precedentemente strutturato dai protagonisti. La rappresentazione rimanda “hic et nunc”, senza indulgenza, non lasciando spazio alla pietas, non nascondendo sofferenza e dolore,  al vissuto reale degli artisti. Questo è ardentemente desiderato,   non astratto,  rivisitazione del proprio essere ,  conoscenza del sé. Catarsi.
Eppure sono bravi questo gruppo di quattordici saltimbanchi, stretti nei loro costumi cabarettistici ed in alcuni momenti , tu spettatore , dimentichi di essere in un mondo altro, se non fosse l’aver dovuto percorrere, per assistervi, quel sentiero faticoso fatto da portoni blindati  che si chiudono alle spalle. Se non fosse per quei cancelli enormi, sorvegliati  sì da uomini cortesi, ma in rigorosa divisa. La musica proposta profusa da un’  armonica, da un violino e da una tromba, sottolinea le varie azioni, mimiche, che richiedono un’ enorme fisicità, uno scatto ironico e divertente, tipico di un cabaret anni trenta dal vago sapore brechtiano. La finalità didattica è ben presente e viene sottolineata dal quadro che chiude la prima parte delle varie scene, con quella frase che è difficile dimenticare, ti entra nello stomaco, nella braccia, sotto la pelle. A turno viene formulata la  domanda, che potrebbe suonare retorica, ma difficilmente obliabile e giustificabile: “Sei triste ?”chiede l’attore al comprimario, non c’è tempo di una risposta perché subito un’altra domanda repentina viene posta, “Hai fame?”, nonostante il “No”, ecco l’invito,  provocazione struggente: “E mangia”,  la risposta adeguata. Salmo ripetuto da tutti gli artisti:  è  questa la  geniale trovata di Pedulla’, che dotato gli interpreti di un sedano in mano, quale scettro di povertà di intenzioni,  necessità della totale nudità del sentire. E’ per lo stesso motivo che al termine della prima parte gli attori si improvvisano camerieri ed in modo ironico ci fanno partecipi di un rinfresco fatto di bigné di crema e di aranciata. “Mangia” , è l’invito funesto, mangia anche se “non hai fame”, per dimenticare dove ti trovi, per farti  riflettere a pancia piena di una condizione estrema,  cui sei chiamato ad assistere.  E poi lo spettacolo riprende con le confidenze recitate con il sostegno di un foglietto: “Quanto tempo è passato … ogni giorno che passa il topo che mangia il mio piede diventa sempre più grasso”, formula un attore dal fisico possente, ed ancora altre confidenze vengono sussurrate. Gli attori  disposti  in cerchio, con il volto mascherato di bianco, ballano quando la musica cessa di  colpo, e quando la musica esiste,  immobili, marionette indisciplinate. Cosa vuole suggerirci lo spettacolo ? Il non saper andare a tempo, può indurre in errore?  Oppure è opportuno accontentarsi della risposta  che l’evento effimero del teatro concede, lì, dove il tempo trascorso, detiene un ritmo diverso rispetto al nostro, estranei di passaggio.

Giuseppe Tesi





domenica 27 maggio 2012

lunedì 14 maggio 2012

Premio "Rafanelli" 2012 Priscilla Baldini , Migliore Attrice in "Dialogo...?"


Il giorno 10 maggio si è conclusa la sesta edizione del concorso teatrale "Fabrizio Rafanelli" organizzato dalla circoscrizione 2 del Comune di Pistoia e dall'associazione culturale Zona Teatro Libero.
Priscilla Baldini è stata premiata come migliore attrice protagonista dell'opera "Dialogo...?" di Natalia Ginzburg diretta da Giuseppe Tesi.
Il personaggio portato sulla scena da Priscilla Baldini (Marta) è metafora del malessere della coppia borghese degli anni Settanta. Lei e Francesco (Andrea Gonfiantini) vivono in un'illusione tesa a dissimulare frustrazioni antiche e recenti, lacerazione e deffaillances che ne avevano contrassegnato la crescita di soggetti adulti. La lettura fattene da Giuseppe Tesi, a cui Priscilla Baldini si adatta docilmente, è tutta in chiave psicologica. Ciò implica una riduzione della dimensione politica del testo incrementandone il potenziale poetico, specie attraverso la recitazione della protagonista. La Baldini modula la propria recitazione su un registro parzialmente isterico risultante da scatti nervosi e improvvise introflessioni. Ho già detto in altra sede come si riveli strategica la scelta della regia di far avanzare Marta sul palco, avvicinandosi al pubblico per appropriarsi di un microfono: in quell'atto "la voce femminile si libera dell'aggressività dirottandosi verso un'efficace mitezza espressiva" e allora in lei emerge una incosampevolezza drammatica del passato. E' un mondo di putrefazione che Marta vorrebbe salvare con l'illusione di una storia d'amore con il comune amico. Ma l'epilogo cancella con coerenza piccolo-borghese un progetto velleitario che dimostra come nulla sia più recuperabile. La regia scava nei gesti attoriali e nelle atmosfere torbide dell'interno borghese con impietosa ferocia. Tutta l'introspezione psicologica e l'intensità angosciata di Priscilla Baldini conferiscono alla rappresentazione una rassegnazione tale che la storia privata assurge a manifesto di una generazione che sta dissipando un patrimonio di un'umanità viva che, della contestazione, aveva fatto lo strumento di non integrazione e ribellione verso un gruppo sociale paludato nel proprio tronfio conformismo.
Ufficio Stampa Electra
Claudia Placanica

domenica 11 marzo 2012

venerdì 9 marzo 2012

"Dialogo... ? di Claudia Placanica


Regia di Giuseppe Tesi dal testo di Natalia Ginzburg. Con Andrea Gonfiantini e Priscilla Baldini.

Se il testo di Ginzburg è lo specchio dei tempi della scrittrice, la regia di Tesi è specchio del suo e del nostro tempo. La coppia dialogante(?) crea un attrito deflagrante capace di accorciarne la distanza temporale. L’esplorazione-espiazione della coppia procede per sottrazione della sua aura di sacralità e con la concessione oscena e violenta di un interno borghese. Andrea Gonfiantini e Priscilla Baldini prestano volto e sostanza ai due personaggi (Francesco e Marta) secondo l’interpretazione e le proposte della regia. La coppia, qui, risulta la somma di due individui: un intellettuale e una tipica donna della piccola borghesia italiana degli anni 70, divisa tra aspirazioni di emancipazione e richiamo alla tradizione. Non è un caso che essi incarnino questi ruoli. Nel testo di Ginzburg si annida una denuncia verso gli intellettuali e gli scrittori italiani di quegli anni, il cui atteggiamento snob e di sottovalutazione dei fenomeni ha significato il fallimento delle generazioni mature di oggi. Oggi sappiamo quanto i difetti di questi non esisterebbero senza il fallimento di quelli. L’intellettuale di Dialogo, vagamente di sinistra, è fallimentare nei suoi molteplici ruoli. La moglie, pur non avendo titoli di studio adatti, presto svolgerà delle inchieste per la televisione grazie all’intervento dell’”amico” . Anche in questa contingenza c’è il disgusto per il mondo dei mass media ricolmo di raccomandati privi di talento. E oggi, ancor più di ieri, ne possiamo condividere tutto il ribrezzo. Il dialogo che intercorre fra i due coniugi sprigiona una latente alterazione psicologica, tesa a rendere la comunicazione un flusso di coscienza privo di feedback. La funzione svolta dal linguaggio non è più quella di forma esteriore di pensiero, ma l’ombra di una condizione di malessere. Il mondo dell’apparenza si sta dissolvendo lasciando che si affermi un principio di realtà. Lo spazio risulta saturo di panni sporchi, non solo metaforici. Gli oggetti, gli accessori (specie per i capelli) con la loro materialità rinviano a un’intimità priva di eros. Anche quando lei si siede su di lui assistiamo all’agonia della coppia, una coppia priva di energia vitale al punto da trascurare persino l’ unica figlia. E quando lui indossa il cappello rosa di lei, all’improvviso irrompe una dimensione antimaschile che crea disagio e sembra alludere all’assenza del principio di virilità del nostro tempo. Il valore della rappresentazione si eleva quando i due personaggi si avvicinano al pubblico parlando al microfono. Si tratta di una trovata carica di suggestione, dal punto di vista sonoro ed anche emotivo. La voce maschile, reduce dal dialogo a volume sostenuto, viene restituita a una naturalezza straziata. La voce femminile si libera dell’aggressività dirottandosi verso un’ efficace mitezza espressiva . Dalle loro confessioni apprendiamo quanto in lui ci sia forte una componente edipica mentre in lei una inconsapevolezza drammatica del passato: entrambi sono schiacciati da una vocazione masochista che poi sulla scena svolge una funzione estetica. Il dipanarsi del plot si mostra quale metafora dell’impossibilità di rendere due individui un’unità tecnico-affettiva alimentando nello spettatore la volontà di non adesione ai personaggi rappresentati: si vorrebbe fuggire da un paesaggio noto, familiare, terribile. Il finale aperto conclude il percorso dello spettatore riconsegnandolo all’impotenza della comunicazione coniugale, al disfarsi di un progetto che forse non è mai stato d’amore, ma ancora una volta di convenienza.


sabato 25 febbraio 2012

Recensione di Claudia Placanica a "Dialogo…?"

Se al posto del modello bigrigio unificato della Sip e della macchina da scrivere
ci fossero un cellulare e un notebook, Dialogo apparterrebbe completamente al nostro tempo digitalizzato, ma bene ha fatto il regista Tesi a mantenerlo in quello immaginato dalla scrittrice. Lo spettatore analogico lo può osservare con un programmato e apparente distacco spazio-temporale, ma sa che ad esser messa in scena è la sua drammatica temporalità.L’implosione di una coppia in un interno borghese diviene un’analisi bio-antropologica dei sentimenti. Si tratta di una tematica molto frequentata negli anni 70, e non solo in Italia. Non è un caso che Natalia Ginzburg abbia operato un’apprezzata critica del cinema di Bergman, quel cinema che spesso ha posto al centro lo scavo dei rapporti di coppia. Qui, però, c’è lo specifico storico-sociale italiano su cui si sedimenta l’iter che il
1º dicembre1970
introdusse il divorzio nella cattolicissima Italia mantenuto, poi, attraverso un Referendum abrogativo del 1974, dimostrando quanto il popolo italiano fosse adulto e autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche. Sono passati quasi quarant’anni e i divorzi aumentano e non perché le coppie vadano meno d’accordo di allora, ma solo per la volontà di sottrarsi alla menzogna di un esistere di coppia. La temperie degli anni Settanta si esprime anche nella ribellione velleitaria di una gestualità contratta e violenta. Andrea Gonfiantini incarna con la giusta “overdose” di aggressività il marito-scrittore frustrato e irrisolto, sprezzante e manesco nei confronti di Priscilla Baldini, una moglie dimessa, il cui maggior “appeal “
coincide con l’indifferenza verso il partner. Non un “c’era una volta”, dunque,
ma solo un “adesso” e: guardate bene. Questi siete voi – cari spettatori - che, nascosti dalle mura delle vostre dimore, restate invisibili, ma consapevoli di essere anche voi parte di quanto avviene in scena. Quel telefono è solo un feticcio, una memoria del mondo esterno:
siete voi qui rappresentati da due attori che vibrano in un’angusta camera
della tortura (proprio quella con cui Macchia definiva il teatro pirandelliano)
in cui voi interpretate il vostro ruolo involontario e da cui difficilmente vi
salverete. L’”acqua nera” del marito è il disagio che prende spessore nelle
parole urlate contro la moglie-estranea il cui adulterio completa la comune
vocazione al malessere. La dimensione dell’Es si avvale dei monologhi al microfono, la presenza di una figlia e della cameriera si manifestano attraverso voci fuori campo. Il rimbalzarsi di domande dalle risposte sbagliate ci chiarisce definitivamente quanto i due abbiano deliberatamente scelto come proprio destino l’eutanasia, la cui realizzazione è evidente nella scena in cui, una dietro all’altro, carponano sul letto cercando la verità delle loro persone al di là della finzione di esser coniugi che non condividono più alcuna sorte programmata. Lo spettatore, al termine, sfidato, esce sgomento, unica vera vittima disorientata da un’implacabile analisi che sembra ricamata sugli ultimi brandelli di una dignità ormai sopraffatta da un Dialogo rafficante e lancinante. Non quello del titolo, ma quello che mai sembrava dovesse accadere, ma è già accaduto.

giovedì 9 febbraio 2012

presentazione di Elena Bernardini, "Dialogo ... ?"

Interno mattina. Camera da letto.

Francesco e Marta. Dialogo...? Si direbbe piuttosto un surreale lessico famigliare che
evoca figure e sentimenti, in modo a volte paradossale, talvolta tenero, spesso isterico.

Altri personaggi, figure comprimarie assenti fisicamente, fanno da filtro e giustificano una particolare incomunicabilità di sentimenti che caratterizza la coppia. Saranno persone
reali, oppure fantasmi, funzionali alla ricerca di un argomento di cui parlare, per non perdersi nel vuoto della vita quotidiana, fatta di panni da lavare e da bollette da pagare?

Sicuramente, sulla scena, sono personaggi. Anche se non visibili. La coppia, indolente ed
insolente, si cerca. L'uno cerca l'altra, con una complicità che non riescono a trasformare in un rapporto normale- ma solo per pigrizia.
Gli attori sono chiamati ad un lavoro sul linguaggio, sui significati nascosti nelle frasi e nelle espressioni senza senso, sulla finta distrazione dall'attenzione per l'altro/a. La regia incalza con un ritmo quasi mentale, di linguaggio interiore non comunicabile solo con le parole, quasi meglio con l'assenza di gestualità. Eppure, a volte, l'azione diventa paradossalmente evidente.

L'anima della scrittrice si presenta con integrazioni da altri suoi scritti: bombe nella routine dei due giovani.

E.B.


mercoledì 18 gennaio 2012

"Dialogo ... ? " presentazione

La storia della coppia formata da Francesco e Marta diventa, nella mia lettura, un pretesto per palesare l'impossibilità di comunicare debolezze e trasgressioni proprie all'altro.
"Dialogo" è un esercizio di scrittura per l'autrice, in questo caso è una prova per i due giovani attori. Lavorando al contrario, in negativo, rilevando una violenza che si nasconde dietro l'argomentare disteso, immergendolo in un'aura insolente e arrabbiata. Sarà la serva a raccontarci la storia, a tramandarci saggezza popolare. Ho integrato con un punto interrogativo il titolo, perché più assisto al lavoro, maggiore è la consapevolezza di aver mutato direzione.
il regista.

domenica 15 gennaio 2012

lunedì 2 gennaio 2012