venerdì 29 aprile 2011

sabato 9 aprile 2011

"O.W. come Oscar Wilde". Recensione di Claudia Placanica



"C’è una sola cosa per me adesso, l’umiltà assoluta: così come c’è una sola risorsa per te, di nuovo l’assoluta umiltà … E’ l’ultima cosa che mi sia rimasta, e la migliore di tutte; la scoperta finale a cui sono giunto". Che fortuna che qualcuno – e non un qualcuno a caso - abbia già svolto questo lavoro "sporco" per noi: vivere e conoscere. Sperimentare ed esplorare se stessi e la realtà fino alle estreme conseguenze . Nelle parole che Wilde aveva destinato a quel compagno che lo aveva fatto finire nei guai, ci sono tutta la saggezza e la lucidità percettiva prodotta, non da un dato anagrafico, ma dalla sedimentazione e dalla memoria dei significati delle singole circostanze. Sembra quasi incompatibile, questo Wilde dimesso e contenuto, con quello divulgato ad uso e consumo del pubblico. Qui si avverte quello spleen a lui coevo a cui però egli non aderì mai. E lo spettacolo O.W. come Oscar Wilde, proposto al Bolognini il 31 marzo, ci ha messi di fronte a questa impietosa visione. Il "De profundis" appare come un testo strategico sia per un pubblico giovane che per uno meno giovane. Se Oscar Wilde, scavando dentro se stesso in profondità, riesce ad esprimere l’amarezza, la delusione e lo scoramento dell’individuo maturo seppur sempre in maniera controllata e raffinata; l’evocazione del suo compagno Alfred, interlocutore del testo di Wilde, richiama il mondo effimero e quasi opposto dell’universo giovanile. La voce e la misurata gestualità di Gloria Biondi veicolano in maniera preziosa i sentimenti e le riflessioni dell’autore irlandese restituendone intatta l’anima sobria ma travagliata. Mai si indulge alla tentazione del gesto ieratico, mai si indugia su un’espressione o su un atto. Anche il processo è uno dei momenti più riusciti: il timbro e l’intonazione di Andrea Sbrinci e il piglio arrogante ma intellettualmente sottomesso di Stefania Biagioni sembrano le coordinate recitative più adatte a dar forma al monstrum giudiziario. Francesca Spampani non riconquista il suo Dorian, ma commuove il pubblico, perché, in fondo, è solo una volta che non è piaciuta la sua Sibyl; mentre Raffaele Totaro, adeguatamente sprezzante, dà corpo al personaggio di Dorian Gray. Lo spazio scenico è risultato efficacemente saturato dai pochi orpelli e dai movimenti del team Electra. Giuseppe Tesi ha svolto un atto maieutico con la preparazione del suo staff di attori, dando loro modo di crescere nell’ambito di questo spettacolo che, con l’interpretazione al Bolognini, viene allestito da ormai 1 anno e mezzo. E l’ultima interpretazione è decisamente la migliore, quella che dimostra come tutto il team sia riuscito a tirar fuori il meglio. Le coreografie, i costumi, le musiche, le luci e il trucco definivano bene quello spleen che avvolgeva i testi scelti che mostravano l'inadeguatezza dell’establishment europeo dell’epoca, ma che, inevitabilmente rinviano a quello di oggi. In fondo l’esperienza e il dolore menzionati da Wilde nel "De Profundis" e altrove hanno contribuito a rendere questo mondo un tantino migliore e a rifiutare tutto ciò che si vuole imporre per la forza della tradizione. Lo spettacolo diretto da Tesi si inserisce nell’alveo di chi combatte con le proprie armi, quelle che sa usare, perché niente sia scontato.