domenica 11 marzo 2012

venerdì 9 marzo 2012

"Dialogo... ? di Claudia Placanica


Regia di Giuseppe Tesi dal testo di Natalia Ginzburg. Con Andrea Gonfiantini e Priscilla Baldini.

Se il testo di Ginzburg è lo specchio dei tempi della scrittrice, la regia di Tesi è specchio del suo e del nostro tempo. La coppia dialogante(?) crea un attrito deflagrante capace di accorciarne la distanza temporale. L’esplorazione-espiazione della coppia procede per sottrazione della sua aura di sacralità e con la concessione oscena e violenta di un interno borghese. Andrea Gonfiantini e Priscilla Baldini prestano volto e sostanza ai due personaggi (Francesco e Marta) secondo l’interpretazione e le proposte della regia. La coppia, qui, risulta la somma di due individui: un intellettuale e una tipica donna della piccola borghesia italiana degli anni 70, divisa tra aspirazioni di emancipazione e richiamo alla tradizione. Non è un caso che essi incarnino questi ruoli. Nel testo di Ginzburg si annida una denuncia verso gli intellettuali e gli scrittori italiani di quegli anni, il cui atteggiamento snob e di sottovalutazione dei fenomeni ha significato il fallimento delle generazioni mature di oggi. Oggi sappiamo quanto i difetti di questi non esisterebbero senza il fallimento di quelli. L’intellettuale di Dialogo, vagamente di sinistra, è fallimentare nei suoi molteplici ruoli. La moglie, pur non avendo titoli di studio adatti, presto svolgerà delle inchieste per la televisione grazie all’intervento dell’”amico” . Anche in questa contingenza c’è il disgusto per il mondo dei mass media ricolmo di raccomandati privi di talento. E oggi, ancor più di ieri, ne possiamo condividere tutto il ribrezzo. Il dialogo che intercorre fra i due coniugi sprigiona una latente alterazione psicologica, tesa a rendere la comunicazione un flusso di coscienza privo di feedback. La funzione svolta dal linguaggio non è più quella di forma esteriore di pensiero, ma l’ombra di una condizione di malessere. Il mondo dell’apparenza si sta dissolvendo lasciando che si affermi un principio di realtà. Lo spazio risulta saturo di panni sporchi, non solo metaforici. Gli oggetti, gli accessori (specie per i capelli) con la loro materialità rinviano a un’intimità priva di eros. Anche quando lei si siede su di lui assistiamo all’agonia della coppia, una coppia priva di energia vitale al punto da trascurare persino l’ unica figlia. E quando lui indossa il cappello rosa di lei, all’improvviso irrompe una dimensione antimaschile che crea disagio e sembra alludere all’assenza del principio di virilità del nostro tempo. Il valore della rappresentazione si eleva quando i due personaggi si avvicinano al pubblico parlando al microfono. Si tratta di una trovata carica di suggestione, dal punto di vista sonoro ed anche emotivo. La voce maschile, reduce dal dialogo a volume sostenuto, viene restituita a una naturalezza straziata. La voce femminile si libera dell’aggressività dirottandosi verso un’ efficace mitezza espressiva . Dalle loro confessioni apprendiamo quanto in lui ci sia forte una componente edipica mentre in lei una inconsapevolezza drammatica del passato: entrambi sono schiacciati da una vocazione masochista che poi sulla scena svolge una funzione estetica. Il dipanarsi del plot si mostra quale metafora dell’impossibilità di rendere due individui un’unità tecnico-affettiva alimentando nello spettatore la volontà di non adesione ai personaggi rappresentati: si vorrebbe fuggire da un paesaggio noto, familiare, terribile. Il finale aperto conclude il percorso dello spettatore riconsegnandolo all’impotenza della comunicazione coniugale, al disfarsi di un progetto che forse non è mai stato d’amore, ma ancora una volta di convenienza.