L’Impero
dei sensi di colpa è lo spettacolo messo in scena dalla
Compagnia Teatrale Electra che, per la prima volta dopo sedici anni, ripropone
sulle scene uno dei lavori teatrali più interessanti del regista, scrittore e
attore romano Duccio Camerini.
Plasmato e rimodellato dalla mano del regista
Giuseppe Tesi e portato innanzi al pubblico dagli attori Priscilla Baldini
(Amelia), Henry Bartolini (Tiberio) e Alessandro Paiano (Jeff), questo testo
del 1997 delinea la vicenda di tre personaggi le cui vite si intrecciano in
maniera inestricabile e tale da rendere impossibile il ricomporsi dei pezzi
che, in un primo tempo, li avevano connotati.
Così Amelia è una giovane donna che si sente ormai
soffocata e come già incanalata in una vita che segue binari ben precisi e
ineluttabilmente tracciati: fin da subito si comincia ad assistere a quella che
può essere definita come una vera e propria ribellione per liberarsi da
un’esistenza che sembra essere segnata dall’inesorabile e imperturbabile
scorrere della vita a soli ventisette anni. È la storia di “ex-amore” con
Tiberio a non darle più quel brivido che la farebbe sentire viva, frizzante,
come la sonora vocalità dell’attrice che calca quasi con grintosa rabbia le
battute che la vedono scagliarsi contro il lento e sempre uguale scorrere degli
eventi. L’occasione che scatena il divenire di tutta la vicenda è lo sfratto
dall’abitazione i due protagonisti condividono a causa del ritrovamento di un
ordigno risalente alla seconda guerra mondiale: Amelia e Tiberio si separano,
andando provvisoriamente ad abitare rispettivamente da un’amica e da un giovane
studente a cui Tiberio aveva impartito lezioni di greco e latino per porre
un’argine alla sua disperata situazione economica.
In un’altra zona della città, dove magari nessuno la
conosce, Amelia acquista una videocassetta pornografica e finisce per rimanere
affascinata dal suo attore protagonista, che si fa chiamare Jeff.
È lui la sua ribellione, vissuta però non senza un
grave carico di sensi di colpa. In questo senso, la scenografia stessa voluta
dal regista Giuseppe Tesi, caratterizzata dalla presenza di tre pannelli posti
parallamente l’uno vicino all’altro, rappresenta bene la volontà di non voler
disvelare fino in fondo la reale condizione dei protagonisti. Come la scena,
talvolta, rimane parzialmente nascosta all’occhio dello spettatore, così
l’agire dei protagonisti rimane spesso celato ad altri, financo a loro stessi.
Quando Amelia va alla ricerca di Jeff, forse non sa che ciò che sta per
accadere sconvolgerà per sempre le vite di tutti e tre: lei si sente viva, di
nuovo aperta ai sentimenti e al turbine vorticoso dell’amore.
E proprio come all’interno di un vortice, lo
spettatore è convogliato verso il pieno esplicitarsi della vicenda, che avviene
nella trattoria dove Amelia si reca con Tiberio appositamente per incontrare
l’uomo che ormai si trova al centro dei desideri: Amelia e Tiberio si erano
amati, il loro sentimento era esistito, era stato vero, il loro primo incontro,
dovuto a un banale scambio di valigie, li aveva davvero coinvolti facendo loro
scoprire quanto fossero reciprocamente presi l’uno dall’altra. L’attenzione si
sofferma in modo significativo sull’identicità dei loro bagagli e, addirittura,
sulla similarità del loro contenuto ma, come afferma la stessa Amelia in una
battuta pronunciata fra lo struggente e la presa d’atto di una realtà ormai
cambiata, “due valigie non possono rimanere uguali per sempre”.
La fine di una storia d’amore segna così l’inizio di
una possibile altra storia, forse più appassionante, forse più bella, forse
vissuta con più entusiasmo, ma proprio quando ad Amelia si dischiudono le porte
di un mondo nuovo, di una realtà altra, ecco che le cose non funzionano più
come si vorrebbe: “Con gli occhi si promettono cose che poi non si possono
mantenere”. Tiberio, preso dalla gelosia nei confronti di Jeff, inizia a
somministrarsi a stancanti sedute di addominali per rafforzare la sua fisicità,
ma nello stesso tempo, Amelia lo torna a cercare nei regali che fa a Jeff,
quali, ad esempio, libri impegnati, biglietti per opere teatrali…
I pezzi si sono decomposti, e ora è impossibile
tornare a incollarli.
Il testo di Duccio Camerini, dunque, ripreso dal
regista Giuseppe Tesi, torna a proporre all’occhio e all’orecchio del pubblico
uno spaccato di vita vera, reale, totalmente priva di disincanto, a tratti
brutale e, proprio come lo è la vita, brutalmente ironica nel suo groviglio di
passione, sentimenti e sensi di colpa.
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