sabato 29 settembre 2012

Recensione di Enrico Bernard Roma

“Dialogo…?” il testo della Ginzburg – il cui titolo originale è però soltanto “Dialogo” senza interpunzioni- in scena al nuovo delizioso Teatro Millelire in zona Prati (vicino Piazzale degli Eroi) è l’esempio calzante del mio discorso. Un marito e una moglie, lui scrive romanzi impubblicabili e lei forse collaborerà ad un programma della Rai, vivono la tipica condizione del disagio intellettuale di una borghesia che si guarda l’ombelico. Hanno una bambina piccola che sistemano sempre da qualche parte per fare il loro… niente. La cameriera, della quale si intuisce la presenza da una voce fuori campo, è “solo una cretina” da non stare a sentire. Tutto è inutile in questa casa, la stessa esistenza dei personaggi lo è. Quindi, per fare qualcosa come nelle migliori tradizioni familiari, si “appiccicano” tra di loro, insomma litigano. Ma più che di un litigio, si tratta di uno sfogo reciproco di frustrazioni e indolenze, perché la loro vita non procede, non va avanti, il meccanismo è bloccato da qualcosa. Lui è uno scrittore, ma non ha sogni rivoluzionari o passioni politiche nel cassetto (nonostante il periodo, siamo alla fine degli anni ’60). Vuole solo vendere il suo manoscritto con la raccomandazione dell’amico Michele ad un editore allora famoso, Vallecchi, e vincere, sempre con l’aiuto di Michele che è in giuria, il Premio Salsomaggiore che vanta la dotazione allora considerevole di un milione. Poi ci saranno i diritti d’autore, le traduzioni, così potranno cambiare casa e ricominciare la stessa storia probabilmente da un’altra parte. Senonché lentamente esce fuori la verità: Michele, l’amico di lui e l’amante di lei, a sua volta scrittore (lui sì pubblicato, anche se una volta sola), non ha nessuna intenzione di sostenere l’amico Francesco e neppure di trasformare la scappatella con Marta, che già progettava un trasferimento nella casa di campagna dell’amante, in una relazione stabile lasciando la moglie. Fulmine a cielo mica tanto sereno, suona il campanello: arriva a Marta una fredda lettera di commiato da parte di Michele che, in partenza, ha pure l’ardire di chiedere a Francesco di tenergli il cane. Un cane, quello di Michele, che Francesco e Marta odiano: ma tant’è, l’amico può sempre servire. E poi, conclude Francesco, che colpa ne ha il cane? La classica tempesta in un bicchier d’acqua si conclude con la mosca annegata nel bicchiere: uno Zoo di vetro per dirla con Tennessee Williams.
Priscilla Baldini e Andrea Gonfiantini sono convincenti nel dare spessore drammatico ai loro personaggi creando un contrasto tra l’indolenza interiore e la violenza esteriore dei comportamenti: lui la picchia, ma lei sembra non percepire i maltrattamenti, e lui in fin dei conti alza le mani come se fossero gesti normali, quotidiani. Una vaga atmosfera sadomaso aleggia non solo nei comportamenti, ma anche nei colori, luci e nei costumi dello spettacolo. E quando Francesco si spoglia, mostra un corpo tatuato come se il martirio fisico e psicologico lasciasse su di lui dei segni indelebili.
La regia di Giuseppe Tesi è, omen nomen, tesa, pulita, concentrata su movimenti mai troppo astratti, ma al tempo stesso mai eccessivamente realistici, con tempi giusti dettati dal testo incalzante, sempre sorprendente e spiazzante, mai ovvio anche se si tratta di un paradosso del “quotidiano”. Invece gli “a parte” al microfono di matrice letteraria, narrativa, mi convincono meno, sono piuttosto citazioni o inserti con cui si vuole dimostrare il rapporto dialettico tra letteratura e teatro nell’opera della Ginzburg, come del resto ho fatto nella prima parte di questo articolo. La commedia, anzi il dramma è un gioiello teatrale dai tempi perfetti da giocarsi, come in gran parte ha fatto molto bene Tesi, intorno al lettone matrimoniale: non necessita di una parola in più né di una in meno. E tantomeno di sovrastrutture.


Enrico Bernard

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